Dipendenza Affettiva

Quando senza l’altro ci si svuota

Tempo stimato per la lettura: 3′

Magari ti sei detto/a che è normale amare così tanto, e che la gelosia, l’ansia, il bisogno continuo di rassicurazioni siano solo la misura del tuo affetto.

Eppure dentro di te sai che c’è qualcosa che non torna.
Ti basta una mancata risposta, uno sguardo diverso, un silenzio più lungo… e vai in tilt.
Ti si chiude lo stomaco. Cominci a rimuginare. Ti chiedi cos’hai fatto di sbagliato. E, a volte, finisci per adattarti, giustificare ed elemosinare briciole pur di non perdere l’altro

Cos’è (e cosa non è) la dipendenza affettiva

La dipendenza affettiva non è amore, non è passione e non è nemmeno una colpa.

È uno schema profondo in cui la tua identità, il tuo valore, la tua regolazione emotiva e la tua serenità finiscono per dipendere dall’altro.
Chi ne soffre tende a:

  • Mettere l’altro al centro della propria vita, anche a scapito di sé;
  • Vivere la relazione con forti picchi di ansia, gelosia, paura dell’abbandono;
  • Provare un senso di vuoto o inutilità se non c’è qualcuno da amare o da “salvare”;
  • Tollerare situazioni tossiche, ambigue o umilianti pur di non restare solo.

In un pattern di dipendenza affettiva spesso, anche quando la relazione finisce, si fa fatica a lasciarla davvero andare. Si torna, si cerca, si controlla, esattamente come se ci si trovasse in una forma di astinenza.

Dipendenza affettiva e relazioni tossiche

Una volta riconosciuti i segnali interiori della dipendenza affettiva, può emergere una domanda difficile: perché resto in una relazione che mi fa stare male?
Spesso chi soffre di dipendenza affettiva si trova invischiato in legami che, da fuori, appaiono evidentemente sbilanciati o dannosi. Ma quando sei dentro, fai fatica a vedere con chiarezza. Ti aggrappi alla speranza, ai ricordi belli, alla prossima volta in cui andrà meglio.

La verità è che molte di queste relazioni seguono un ciclo tossico, fatto di alti intensi e bassi dolorosi. Proprio questa altalena emotiva crea una forma di attaccamento difficile da spezzare, che può somigliare a una dipendenza vera e propria. Alcune persone alternano fasi di attenzione e cura a momenti di distacco o svalutazione: e proprio questa alternanza confonde, fa vacillare il senso di realtà, alimenta dubbi e speranze.

È importante dirlo con chiarezza: non si tratta di debolezza, né di “colpa”. Si tratta di legami che si fondano su automatismi profondi, spesso legati alla nostra storia affettiva, e che possono essere modificati, ma solo a partire dalla consapevolezza.

Le relazioni tossiche non sono tutte uguali, ma condividono alcune caratteristiche ricorrenti:

  • una mancanza di reciprocità e di sostegno reale;

  • una tendenza al controllo o al dominio;

  • un squilibrio di potere dove uno dei due ha il “potere di far stare bene o male” l’altro;

  • una forma di ambivalenza emotiva, in cui l’altro può essere, a momenti, anche accudente o premuroso;

Ed è proprio questa ambivalenza a generare quello che la letteratura chiama legame traumatico: un attaccamento che si rafforza proprio attraverso le esperienze dolorose condivise. È una dinamica sottile e pervasiva, che può far sembrare insostituibile chi ci ferisce, o farci sentire “colpevoli” se pensiamo di allontanarci.

Chi vive una relazione tossica spesso si trova a oscillare tra estremi:

  • dall’amore all’odio;

  • dalla sottomissione alla rabbia;

  • dalla sensazione di essere tutto, all’idea di non valere nulla.

Uscire da questo tipo di relazioni richiede tempo, supporto e uno spazio sicuro in cui rimettere ordine tra le emozioni. E soprattutto richiede una cosa: non sentirsi sbagliati per ciò che si prova.

Non è un difetto di carattere.

È una ferita che chiede cura.

Chi sviluppa una dipendenza affettiva spesso ha avuto esperienze in cui l’amore era instabile, condizionato, o assente.
Forse ti hanno insegnato che dovevi “meritare” di essere amato, o che se l’altro si arrabbiava o si allontanava la colpa era soltanto tua.
Nel tempo, hai quindi ragionevolmente imparato che per essere al sicuro devi compiacere, trattenere, controllare: sono esattamente questi gli stessi meccanismi che si ripresentano nelle tue relazioni attuali.

Ecco perché molte persone che vivono relazioni disfunzionali si ritrovano, inconsapevolmente, a cercare sempre lo stesso tipo di legame: quello che conferma il loro schema, anche quando fa male.

La buona notizia è che non sei condannato/a a ripetere questo copione: con il giusto percorso psicoterapeutico potrai infatti imparare a riconoscere i tuoi bisogni autentici, regolare l’ansia relazionale e costruire un legame più sano con te stesso e con gli altri.

Le tipologie di dipendenza affettiva

La dipendenza affettiva non si manifesta sempre allo stesso modo. In terapia si incontrano configurazioni diverse, legate alla storia di attaccamento, alla percezione di sé e al modo in cui la persona si relaziona all’altro.

Sebbene ogni situazione sia a sé stante, di seguito riporto i pattern che si possono consolidare più frequentemente:

  • Dipendenza affettiva passivo-dipendente: chi vive questa configurazione sente di non riuscire ad affrontare la vita da solo. Cerca nel partner una figura forte e salvifica, a cui delegare la propria stabilità e felicità.
    Il terrore dell’abbandono è costante, così come la paura di non valere abbastanza. Questo porta a un doppio movimento emotivo: da un lato, l’altro viene idealizzato e investito di aspettative irrealistiche; dall’altro, emergono invidia, frustrazione e comportamenti passivo-aggressivi.
    Spesso il passivo-dipendente si adatta e compiace, sperando che prima o poi l’altro “si accorga” del suo bisogno e lo ricambi con protezione e dedizione.
  • Codipendenza (o dipendenza salvifica): in questo caso, la persona si lega a partner problematici, che appaiono fragili, dipendenti, bisognosi di aiuto. L’idea di fondo è: “se mi prenderò cura di te, resterai con me per sempre”. Questo meccanismo può dare un senso di unicità e valore (“solo io posso aiutarti”), ma rischia di trasformarsi in un legame fuso e sbilanciato. In alcuni casi, il codipendente può arrivare a ostacolare inconsapevolmente il cambiamento del partner, temendo che la fine del bisogno coincida con la fine della relazione.
  • Dipendenza aggressivo-dipendente: qui la sofferenza si esprime in modo più distruttivo. La persona proietta sul partner rabbia, frustrazione e vissuti di fallimento che non riesce a elaborare. Dietro la tendenza a svalutare e colpevolizzare l’altro si nasconde un profondo senso di indegnità e autoaccusa. Il partner diventa il bersaglio di una guerra interna tra il bisogno di amore e la paura di non meritarlo. Sono relazioni cariche di tensione, in cui la violenza psicologica (e talvolta fisica) convive con un attaccamento profondo ma disfunzionale.
  • Contro-dipendenza: la contro-dipendenza non è assenza di bisogno, ma una sua negazione. Chi ne soffre tende a evitare ogni forma di legame intimo, mostrando autosufficienza e freddezza affettiva. Spesso si tratta di persone che, fin dall’infanzia, hanno imparato a cavarsela da sole, rinunciando alla speranza di essere accudite o riconosciute nei propri bisogni. Dietro l’apparente autonomia si cela un vuoto affettivo profondo, mai affrontato, che può sfociare in dipendenze alternative (lavoro, sostanze, comportamenti compulsivi). Il problema non è non aver bisogno, ma non sapere più come chiedere, per timore di essere umiliati o rifiutati.

Come può aiutarti la terapia cognitivo-comportamentale (TCC)

La TCC è un approccio psicologico pratico, basato su evidenze scientifiche, che lavora su pensieri, emozioni e comportamenti disfunzionali.
Nel caso della dipendenza affettiva, ci può aiutare ad esempio a:

  • Individuare gli schemi relazionali rigidi (come il bisogno di compiacere o la paura del rifiuto);
  • Intercettare i pensieri automatici negativi (“Non valgo nulla senza di lui/lei”, “Se non mi risponde, mi sta lasciando”);
  • Ridurre l’ansia legata all’assenza dell’altro, imparando tecniche di autoregolazione emotiva;
  • Ricostruire un’identità personale solida, che non dipenda più esclusivamente dall’approvazione o dalla presenza di qualcuno;
  • Modificare gradualmente i comportamenti di ricerca compulsiva o controllo, grazie a strategie concrete, come l’esposizione con prevenzione della risposta e la ristrutturazione cognitiva;
  • Integrare, se necessario, elementi di mindfulness o tecniche basate sulla “compassion”, per sviluppare un atteggiamento più gentile e sicuro verso se stessi.

Non si tratta di diventare “freddi” o “distaccati”, ma di ritrovare un equilibrio in cui la relazione non diventa più una lotta per essere visti o amati.

Quand’è il momento di chiedere aiuto?

A volte ci si accorge di essere in una dinamica disfunzionale, ma si rimanda: ci si prova da soli, si aspetta che l’altro cambi oppure si chiude con estrema fatica una relazione promettendo a sé stessi che sarà l’ultima volta… salvo poi trovarsi, dopo poco, nello stesso copione.

Può essere il momento di iniziare un percorso se:

  • Ti senti svuotato, in ansia o in crisi quando sei lontano dall’altro;
  • Vivi relazioni sbilanciate, in cui dai molto e ricevi poco;
  • Ti adatti continuamente per paura di essere lasciato;
  • Controlli, scrivi, cerchi costantemente, anche quando sai che non ti fa bene;
  • Fai fatica a stare solo e ti butti in relazioni per colmare un vuoto.

Se ti sei ritrovato/a in quello che hai letto e hai deciso di voltare pagina puoi prendere un appuntamento con me. Sono uno psicologo ed uno psicoterapeuta cognitivo-comportamentale ed insieme potremo strutturare il tuo percorso di rinascita.

Nel primo incontro potrai raccontarmi con calma ciò che stai vivendo, secondo le tue modalità ed i tuoi tempi: insieme quindi valuteremo se iniziare un percorso e con quali obiettivi, tenendo conto della tua storia, dei tuoi bisogni e delle tue risorse attuali.

Il trattamento sarà su misura, ma con obiettivi chiari e strumenti concreti, per accompagnarti passo dopo passo verso relazioni più libere e consapevoli.

FAQ sulla Dipendenza Affettiva

Come faccio a capire se è amore o dipendenza affettiva?

L’amore sano non ti toglie la pace, non ti fa sentire in continua allerta e non mette a rischio il tuo senso di valore personale.
Se ti capita spesso di sentirti ansioso, svuotato, insicuro, se temi di non valere nulla senza l’altro o se ti adatti a qualsiasi costo pur di non perdere una relazione, è possibile che tu stia vivendo una forma di dipendenza relazionale.
La differenza non sta nell’intensità del sentimento, ma nella libertà emotiva che senti mentre lo vivi. L’amore nutre, la dipendenza consuma.

Quanto può durare un percorso terapeutico?

La durata può variare molto a seconda della situazione, della profondità dello schema disfunzionale e degli obiettivi condivisi.
In genere, già nei primi due mesi si osservano i primi cambiamenti significativi, soprattutto in termini di consapevolezza e regolazione emotiva.
Alcune persone preferiscono iniziare con un percorso breve e mirato, altre scelgono di lavorare con più profondità su temi come l’autostima, l’attaccamento o la gestione dell’ansia relazionale.
In ogni caso si lavorerà con obiettivi concreti, passo dopo passo, all’interno di una relazione terapeutica accogliente e strutturata.

La dipendenza affettiva è un disturbo psicologico?

Non è una diagnosi clinica formalmente riconosciuta nei manuali diagnostici, ma è considerata un pattern relazionale disfunzionale molto frequente. Spesso si accompagna a condizioni come ansia, bassa autostima, disturbi dell’umore o vissuti traumatici nelle relazioni primarie. Anche se non è un “disturbo” in senso stretto, è un disagio psicologico profondo, reale e meritevole di attenzione terapeutica. Prenderlo sul serio significa rispettare la propria sofferenza e iniziare a costruire un modo diverso di stare in relazione.

E l'altra persona non volesse cambiare?

È senz’altro una delle domande più frequenti, e comprensibilmente dolorose.
Ma la verità è che non puoi costringere nessuno a cambiare.
Quello che puoi fare, invece, è iniziare a cambiare tu: imparare a riconoscere i tuoi bisogni, gestire l’ansia di abbandono, distinguere ciò che ti fa bene da ciò che ti tiene incatenato.
Imparando a farlo noterai che anche il modo in cui vivi le relazioni cambierà profondamente. A volte questo porta a ridefinire il rapporto con l’altro, altre volte a prendere decisioni più libere e consapevoli. Ma in ogni caso, avrai l’opportunità di non restare incastrato in dinamiche che ti consumano.

Cosa succederà dopo il nostro primo contatto?

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Primo colloquio conoscitivo

È il momento per iniziare a conoscerci e capire se intraprendere insieme un percorso. In questa occasione gran parte dello spazio sarà dedicato al tuo racconto, che mi permetterà di comprendere i tuoi bisogni. Al termine saremo in grado di tracciare un quadro generale della situazione ed iniziare ad abbozzare gli obiettivi del percorso.

Assessment

È la fase dedicata all’approfondimento di quanto riportato nel primo incontro, attraverso domande mirate e test psicologici specifici. Qui andremo ad eviscerare le problematiche riportate, i fattori contestuali e le risorse che hai a disposizione e su cui potremo contare lungo il nostro percorso. Lo scopo è “scattare una fotografia” del tuo funzionamento: sarà la mappa per poterci muovere verso gli obiettivi specifici che, al termine di questa fase, andremo a concordare. Ognuno di noi è unico e speciale, motivo per cui la durata di questo step è variabile (generalmente 3-5 sedute).

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Piano individualizzato

Attraverso tecniche mirate inizieremo a muovere i primi passi verso il cambiamento, orientandoci verso gli obiettivi concordati. Monitoreremo insieme i risultati e le difficoltà, adattando sartorialmente il piano passo dopo passo. Ogni viaggio è unico e le variabili sono tante, proprio come nella vita. Non vi è pertanto un numero di sedute prefissate, saremo noi a programmare la durata del percorso dandoci la possibilità di adattarlo a seconda di eventuali nuovi obiettivi che dovessero emergere in corso d’opera.

Follow up

Al termine del percorso potremo concordare degli incontri di follow up, che normalmente si configurano a distanza di 1, 3 o 6 mesi. Il loro scopo è supportarti e sostenerti nella sperimentazione in autonomia delle nuove competenze e degli strumenti acquisiti lungo il percorso.

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Primo colloquio conoscitivo

È il momento per iniziare a conoscerci e capire se intraprendere insieme un percorso. In questa occasione gran parte dello spazio sarà dedicato al tuo racconto, che mi permetterà di comprendere i tuoi bisogni. Al termine saremo in grado di tracciare un quadro generale della situazione ed iniziare ad abbozzare gli obiettivi del percorso.

Assessment

È la fase dedicata all’approfondimento di quanto riportato nel primo incontro, attraverso domande mirate e test psicologici specifici. Qui andremo ad eviscerare le problematiche riportate, i fattori contestuali e le risorse che hai a disposizione e su cui potremo contare lungo il nostro percorso. Lo scopo è “scattare una fotografia” del tuo funzionamento: sarà la mappa per poterci muovere verso gli obiettivi specifici che, al termine di questa fase, andremo a concordare. Ognuno di noi è unico e speciale, motivo per cui la durata di questo step è variabile (generalmente 3-5 sedute).

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Piano individualizzato

Attraverso tecniche mirate inizieremo a muovere i primi passi verso il cambiamento, orientandoci verso gli obiettivi concordati. Monitoreremo insieme i risultati e le difficoltà, adattando sartorialmente il piano passo dopo passo. Ogni viaggio è unico e le variabili sono tante, proprio come nella vita. Non vi è pertanto un numero di sedute prefissate, saremo noi a programmare la durata del percorso dandoci la possibilità di adattarlo a seconda di eventuali nuovi obiettivi che dovessero emergere in corso d’opera.

Follow up

Al termine del percorso potremo concordare degli incontri di follow up, che normalmente si configurano a distanza di 1, 3 o 6 mesi. Il loro scopo è supportarti e sostenerti nella sperimentazione in autonomia delle nuove competenze e degli strumenti acquisiti lungo il percorso.

Queste fasi non rappresentano un iter obbligato, sono solo la rappresentazione di come tipicamente si svolge un percorso psicologico secondo il mio metodo.

Avremo l’assoluta libertà di concordare insieme ogni passo, così come la cadenza delle sedute. Non esiste un percorso giusto o sbagliato, ma solo il tuo percorso, modellato sulle tue esigenze.

Studio Gabriele Priolo - Studio Psicologia Torino - Logo centrato

(+39) 320 333 9345

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